Uno studio pilota condotto dall’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con la Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico e il CNR-Istituto di Fisiologia Clinica, con il sostegno della Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (FISM), ha evidenziato come la stimolazione spinale diretta non invasiva (tsDCS) possa ridurre lo stress ossidativo e l’infiammazione in pazienti affetti da sclerosi multipla.
Pubblicati sulla rivista internazionale Brain Stimulation, i risultati aprono nuove prospettive terapeutiche per una malattia che colpisce oltre 2,8 milioni di persone nel mondo.
Riduzione dei radicali liberi e miglioramento della qualità della vita
Lo studio ha coinvolto un piccolo gruppo di pazienti con sclerosi multipla e spasticità, sottoposti per cinque giorni consecutivi a stimolazione spinale reale o placebo. Analizzando sangue e urine prima e dopo il trattamento, i ricercatori hanno riscontrato una riduzione dei radicali liberi (ROS) e un aumento della capacità antiossidante totale (TAC).
Secondo i dati, tali cambiamenti sono correlati a miglioramenti negli aspetti cognitivi e sociali della qualità della vita.
«L’effetto della stimolazione spinale sui biomarcatori di ossidazione e infiammazione rappresenta un’indicazione promettente della possibilità di intervenire su meccanismi patogenetici centrali della malattia», ha dichiarato Alberto Priori, direttore della SC di Neurologia dell’ASST Santi Paolo e Carlo e del Centro di Ricerca ‘Aldo Ravelli’ dell’Università degli Studi di Milano.
Una metodologia integrata per una terapia personalizzata
Lo studio ha applicato un approccio interdisciplinare, unendo modelli computazionali, analisi biomolecolari e valutazioni cliniche, in linea con una visione personalizzata della terapia.
«Il nostro approccio metodologico ha integrato modelli computazionali, analisi biomolecolari e scale cliniche, in una prospettiva sistemica e personalizzata», ha spiegato Sara Marceglia, professoressa di bioingegneria all’Università degli Studi di Milano.
«È un primo passo verso la definizione di protocolli predittivi per trattamenti personalizzati nei pazienti con SM».
Nuovi marcatori di rimielinizzazione e neuroprotezione
Tra i possibili meccanismi biologici attivati dalla tsDCS, i ricercatori hanno rilevato segnali relativi alla rimielinizzazione e neuroprotezione, con modifiche nei livelli di transtiretina e interleuchina-6 (IL-6), due marcatori chiave in queste dinamiche.
«I risultati ottenuti indicano che, anche in studi su piccoli campioni, l’utilizzo di biomarcatori specifici può offrire informazioni cruciali sull’efficacia e sui target della neuromodulazione», ha sottolineato Simona Mrakic-Sposta, fisiologa del CNR-IFC.
Un’opportunità concreta per trattamenti non farmacologici
Lo studio sostiene anche il valore di approcci psicobiologici, in grado di integrare aspetti neurobiologici, comportamentali e clinici, con un impatto positivo sulla qualità della vita psicosociale dei pazienti.
«Questo studio evidenzia come l’approccio della psicobiologia, che integra componenti neurobiologiche, comportamentali e cliniche, sia fondamentale per comprendere e modulare le dinamiche mente-corpo nella SM», ha dichiarato Roberta Ferrucci, neuropsicologa presso il Policlinico e docente all’Università degli Studi di Milano.
«La possibilità di intervenire anche sugli aspetti psicosociali della qualità della vita attraverso strategie non farmacologiche, sicure e personalizzabili, rappresenta quindi una prospettiva concreta per la presa in carico integrata delle malattie neurologiche complesse».