Rivoluzionario nell’ambito dell’immunoterapia oncologica, l’utilizzo delle cellule Car-T sta cambiando le carte in tavola nella lotta contro i tumori del sangue più aggressivi. E mentre il numero di terapie autorizzate aumenta, i dati sulle nuove possibili applicazioni appaiono decisamente incoraggianti.
Alla base del trattamento, la riprogrammazione di linfociti che vengono “addestrati” per riconoscere e aggredire le cellule maligne. La tecnica prevede il prelievo delle cellule immunitarie del paziente, o di un donatore compatibile, che vengono modificate geneticamente tramite l’inserimento di un gene in grado di codificare un recettore speciale – il Car – capace di riconoscere proteine specifiche presenti sulla superficie delle cellule tumorali, come CD19 nelle leucemie.
Una volta reinfusi nel paziente, i linfociti T non solo identificano e attaccano le cellule tumorali, ma si espandono esponenzialmente, innescando una potente risposta citotossica: un esercito immunitario personalizzato ed efficace.
In particolare, spiega Franco Locatelli, responsabile del Centro studi clinici oncoematologici e terapie cellulari dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, «le cellule Car-T hanno ormai un uso consolidato in tre patologie ematologiche maligne: le leucemie linfoblastiche acute B, i linfomi non Hodgkin B e il mieloma multiplo» ma l’obbiettivo è quello di traslarne l’efficacia nei casi di leucemia linfoblastica acuta T per poi estenderne ulteriormente l’applicabilità ad altri tipi di tumore.
«Adesso al Bambino Gesù abbiamo uno studio che è in corso a chi ci sta dando dei risultati di grandissimo interesse. Abbiamo anche già pubblicato i risultati di alcuni di questi pazienti su Nature Medicine e poi c’è il grande orizzonte di sfida delle leucemie mieloidi acute: anche qui abbiamo i primi due pazienti trattati con delle cellule Car-T dirette contro un bersaglio specifico che hanno ottenuto una risposta completa riottenendo quella remissione che avevano perso dopo i trattamenti convenzionali».
Locatelli, è ottimista: «Siamo ancora all’inizio di una grande storia tutta da scrivere», a patto che si investa nella ricerca accademica.
Tra gli scogli maggiori per quanto riguarda lo sviluppo e l’applicazione delle terapie Car-T infatti c’è quello economico. «L’Italia possiede tutte le competenze sia sperimentali che cliniche per giocare un ruolo principe in questo contesto», continua Locatelli, ma «i costi commerciali sono significativi e per questo, come “sistema-Paese”, è importante investire nelle cellule Car-T accademicamente». Un aumento degli investimenti in ambito accademico, sostiene l’oncoematologo, consentirebbe di studiare trattamenti mirati a risolvere «quelle patologie oncologiche rare che rivestono meno interesse per iniziative di tipo strettamente industriale».
Mentre i laboratori continuano a perfezionare questi le cellule Car-T, l’obiettivo rimane duplice: estendere i benefici a tumori finora resistenti e rendere queste terapie salvavita accessibili a un numero sempre maggiore di pazienti. La sfida, come sottolinea Locatelli, non è solo scientifica ma anche economica: trasformare un’innovazione promettente in un’opzione terapeutica concreta per tutti coloro che ne hanno bisogno.