Il linfedema, inteso come stato patologico di accumulo di liquidi nei tessuti che si manifesta con gonfiore e una serie di altri sintomi dolorosi o fastidiosi, può diventare un indesiderato compagno di vita, dopo un tumore al seno. Questa problematica, con un’incidenza che può raggiungere fino al 40% può colpire le pazienti sottoposte a mastectomia e a trattamenti oncologici secondari.
Si tratta di un problema spesso sottostimato e soprattutto non sufficientemente spiegato e anticipato nel percorso di cura. Per quanto accurati, gli interventi conservativi e demolitivi-ricostruttivi possono causare, in diversa misura, esiti post-operatori permanenti nella regione dell’intervento chirurgico e nel braccio del lato operato. Le complicanze precoci, che compaiono entro un anno dall’intervento e quelle tardive, che compaiono a distanza di anni dall’intervento, riguardano possibili lesioni nervose, muscolari, articolari, vascolari, processi flogistici e infettivi ricorrenti.
Esiste un approccio raccomandato per il linfedema?
L’approccio consigliato per le pazienti è personalizzato e multidisciplinare, come indicato dalla Linee Guida ministeriali per le attività riabilitative già dal 1988. «Manca però ancora oggi, molto spesso, la conoscenza di tutta una serie di terapie che possono essere messe in atto per “giocare d’anticipo” e ridurre il rischio di sviluppare un linfedema ingravescente e prevenire le sue complicanze, – spiega la dottoressa Sara Oberto, specialista in Linfologia Clinica alla Clinica Linfologia Italiana di Padova – le pazienti giungono spesso tardi rispetto all’intervento e, in assenza di un’idonea gestione, il linfedema può diventare cronico, generando un quadro di disabilità crescente ed una qualità di vita sempre meno accettabile. Il progetto riabilitativo pertanto non è solo sui sintomi, sul dolore ma sulla persona e a lungo termine».
Quali sono i sintomi post-operatori da tener d’occhio?
Buona parte dei sintomi fanno parte del normale decorso post-operatorio e non bisogna allarmarsi. Queste sensazioni inoltre non sono uguali per tutte le donne. In genere si possono avvertire sensazioni come dolore a “punture di spillo”, sensazione costrittiva, bruciore intenso, irradiazione del dolore fino alla spalla e scapola, che possono causare ipomobilità e rigidità. A volte si avverte una sorta di “imbottitura” o “cartone” in ascella, di stiramento, perdita o diminuzione di sensibilità, soprattutto nella zona della cicatrice, senso di pesantezza al braccio e lieve gonfiore.
Se queste complicanze immediate, direttamente connesse all’intervento sono trascurate si può però andare incontro a delle complicanze tardive, dovute proprio alla mancata o cattiva gestione delle prime complicanze post-operatorie. Tra queste, oltre al linfedema, ci può essere un dolore cronico e diffuso, la cosiddetta “spalla congelata” e numerose alterazioni posturali.
Intervenire subito: il paziente al centro
È indispensabile inquadrare ed intervenire tempestivamente e adeguatamente su tutti i tipi di complicanze, sia nella fase acuta che in seguito, anche a distanza dall’intervento. «Recenti studi hanno messo in evidenza che un’azione preventiva permette di evitare sia le complicanze funzionali dell’arto, – spiega Germana Marangon, responsabile della Clinica Linfologica di Padova – sia l’evoluzione tissutale, riportando un equilibrio funzionale dell’arto operato e una maggiore tranquillità e fiducia della paziente nel seguire tutto il percorso della malattia fino ad assumere un ruolo attivo nel piano di cura.
Fino al 40% delle donne operate al seno, soprattutto se hanno subito una linfoadenectomia ascellare, con alto numero di linfonodi ascellari asportati, associato a radioterapia estesa, ormonoterapia e/o sono in sovrappeso, dovranno prestare una maggiore attenzione. Questo perché alcuni stimoli di modesta entità, potrebbero determinare la perdita della condizione di compenso linfatico e determinare, in assenza di un’idonea gestione, la comparsa del linfedema nei primi cinque anni».
Informazione e consapevolezza dal chirurgo al paziente
Risulta fondamentale lavorare sulla maggiore consapevolezza del chirurgo e sulle corrette informazioni trasferite alla paziente. «Possiamo sensibilizzare maggiormente rispetto alla problematica, invitando i centri di riferimento ad affrontare la malattia in modo multidisciplinare e dare alla paziente il miglior trattamento possibile in funzione di un recupero della qualità di vita senza trascurare le implicazioni psicologiche, – illustra il dottor Stefano Martella, direttore della Senologia Chirurgica e Ricostruttiva del Policlinico Abano di Abano Terme (Padova) – il linfedema può verificarsi in tempi molto variabili: da poche settimane ad alcuni anni dopo il termine del trattamento. La sua entità è sempre in correlazione diretta con il tipo e l’invasività del trattamento chirurgico e/o radiante.
Maggiore è il numero di linfonodi prelevati, maggiore è la probabilità e questa aumenta se poi verrà eseguita radioterapia. In questi anni si sta facendo uno sforzo notevole nel ridurre le indicazioni alla dissezione ascellare garantendo sempre la massima sicurezza oncologica. Se in futuro vi sarà una riduzione delle indicazioni alla radioterapia associata alla dissezione ascellare si potrà raggiungere un tasso di incidenza del linfedema sicuramente inferiore. Anche la presenza di Breast Unit altamente specializzate darà la possibilità di ridurre il rischio di linfedema attraverso una metodologia chirurgica innovativa e sicura».
A chi rivolgersi per prevenire e curare il linfedema?
«La consapevolezza del chirurgo è fondamentale per indirizzare la paziente in centri specializzati – continua la dottoressa Sara Oberto – capaci di analizzare clinicamente e precocemente la sintomatologia, di aiutare la paziente a riconoscere eventuali problematiche e soprattutto in grado di agire subito, tempestivamente su eventuali evoluzioni o complicanze. Le principali cause del mancato o incostante risultato nel trattamento clinico del linfedema sono da ricercarsi nella mancata consapevolezza della cronicità della malattia, nella mancanza di un approccio multidisciplinare, di programmi di cura a medio e lungo termine, nell’incapacità di far acquisire alla paziente l’importanza delle tecniche di auto-cura e auto-monitoraggio. Spesso viene ignorato il recupero funzionale motorio, la sorveglianza clinica, il monitoraggio periodico».
Fisioterapia e linfedema
«La nostra esperienza come centro dedicato alla linfologia ci ha insegnato in questi anni a costruire un approccio multidisciplinare e altamente personalizzato al linfedema e alle altre problematiche – spiega Germana Marangon, responsabile della Clinica Linfologica di Padova – con fisioterapisti formati in ambito oncologico-senologico e linfologico in grado di intervenire su tutti i tipi di complicanze con interventi riabilitativi mirati finalizzati alla riduzione della sintomatologia e a un equilibrio funzionale dell’arto. Nel caso delle diverse tipologie di ricostruzione mammaria, esistono, ad esempio, indicazioni fisioterapiche precise e diverse possibilità di complicazioni.
É fondamentale lavorare sulla mobilità dei tessuti cutanei e muscolari, mobilizzare la protesi (dopo indicazioni del chirurgo) favorendo la buona riuscita dell’impianto ed evitando che il tessuto cicatriziale peri-protesico, che normalmente si forma, col tempo si ispessisca facendo apparire il seno duro e deformato comprimendo la protesi e provocando dolore». Il miglior trattamento quindi rimane la prevenzione presso centri specializzati con un approccio multidisciplinare incentrato sul paziente, stabilendo percorsi terapeutici dedicati per affrontare i vari stadi del linfedema migliorando la qualità di vita del paziente.