Il DNA è il custode del nostro patrimonio genetico, ma quando viene esposto a radiazioni ionizzanti, può subire danni che minacciano la salute cellulare. Un nuovo studio condotto dai ricercatori del Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento ha gettato luce su come la radiazione influisca sulla rottura del DNA, rivelando tempi e meccanismi cruciali per la comprensione di queste lesioni. L’importante scoperta apre le porte a prospettive rivoluzionarie nell’ambito medico, biologico e radioterapico.
Il team di studiosi guidato da Raffaello Potestio e composto da Manuel Micheloni, Lorenzo Petrolli e Gianluca Lattanzi ha pubblicato i risultati del loro studio sulla prestigiosa rivista scientifica Biophysical Journal. L’obiettivo era chiaro: svelare il collegamento tra l’esposizione alle radiazioni e il momento in cui il DNA danneggiato subisce una rottura irreversibile. Questo importante passo avanti nella comprensione delle interazioni tra radiazione e DNA potrebbe rivoluzionare le strategie di trattamento dei tumori.
L’impatto delle radiazioni ionizzanti sul DNA
La presenza di radiazioni ionizzanti nell’ambiente è più comune di quanto si possa pensare. Dai raggi UV emessi dal sole agli esami diagnostici con raggi X, siamo costantemente esposti a tali radiazioni, che possono danneggiare il DNA e persino portare alla formazione di tumori. I ricercatori hanno affrontato questo problema investigando la rottura del DNA colpito da radiazioni ionizzanti. Hanno scoperto che la distanza tra le zone danneggiate nel DNA influisce direttamente sul tempo che la struttura rimane integra, dando alla cellula più tempo per avviare processi di riparazione.
Dalla simulazione computazionale alla comprensione pratica
Per capire meglio questo processo complesso, i ricercatori hanno sviluppato modelli computazionali, simili a un videogioco, in cui hanno esaminato la sequenza del DNA a doppio filamento colpita dalla radiazione. Una delle conseguenze più gravi delle radiazioni è la “rottura a doppio filamento” del DNA, che interrompe la continuità strutturale e chimica del DNA nei suoi due filamenti complementari. Questo tipo di danno può avere impatti significativi sulle cellule.
Tempo di rottura e processo di riparazione
La cellula possiede un sistema enzimatico di controllo e manutenzione del DNA, ma il processo di riparazione non si attiva immediatamente dopo il danno. Questo ritardo può avere effetti negativi sul funzionamento cellulare. Le modifiche al DNA possono portare alla sintesi di proteine errate o addirittura provocare la morte cellulare. La comprensione dei tempi di rottura e dei processi di riparazione può aprire la strada a interventi terapeutici mirati, come nella radioterapia.
Capire cosa accade quando il DNA viene colpito da radiazioni apre la prospettiva, a lungo termine, di lavorare su nuove e sempre più precise tecniche di intervento con la radioterapia. «Il duplice e complementare scopo a valle di questi studi – spiega Potestio – è da un lato comprendere i meccanismi che portano ai danni cellulari per prevenirli o limitarli, e dall’altro trovare il modo migliore per creare il maggior danno possibile. Questo è importante, ad esempio, nell’ambito della protonterapia, che sfrutta radiazioni ionizzanti, nello specifico protoni, per colpire localmente cellule già tumorali e ucciderle». «Il contesto della radioterapia – continua il docente – porta con sé tutta una serie di questioni più profonde che riguardano, ad esempio, la precisa localizzazione della radiazione depositata nei tessuti tumorali, in modo da evitare che i raggi colpiscano cellule sane che a loro volta potrebbero “impazzire”. Meglio capiremo ciò che succede a seguito dell’irraggiamento e della rottura del DNA, tante più frecce avremo al nostro arco per poter sviluppare altre tecniche di intervento e mitigarne gli effetti collaterali» conclude Potestio.