Partiamo da una considerazione fondamentale: i vaccini proteggono le persone, i bambini in particolare, da importanti malattie. Malattie che possono causare gravi complicanze o per le quali non esiste ancora una cura adeguata. Detto questo, e dati alla mano, possiamo rilevare che accanto ad una flessione, apparentemente minima, del completamento dei cicli vaccinali rispetto alla obbligatorietà prevista dalla Legge 119/2017 – dal Covid in poi si registra un ulteriore fenomeno definito “stanchezza vaccinale”: questa “fatica” nel fare i vaccini da parte degli adulti allontana dalla protezione anche i più piccoli.
Ne parliamo con Luca Gino Sbrogiò, Direttore del Dipartimento di Prevenzione dell’ULSS6 Euganea. Dottor Sbrogiò, che cosa si intende per “stanchezza vaccinale”?
«Si è notato, in particolare dopo la lunga stagione vaccinale contro il COVID, una diffusa “stanchezza” degli adulti che, per varie ragioni, tendono a rifiutare le offerte previste dal calendario vaccinale comprese quelle rivolte ai propri figli, per le quali non iniziano o non completano il percorso dei vaccini obbligatori. Si tratta di qualcosa di diverso e di ulteriore rispetto alla decisione di non vaccinarsi o di non vaccinare i figli, fenomeno già noto da tempo. Stiamo infatti parlando di persone che si sono vaccinate, anche più volte, facendo i richiami previsti, ma che adesso non vogliono tornare a occuparsi di vaccini. Per queste persone quindi non si tratta di un rifiuto “a priori” della pratica vaccinale ma di una “fatica mentale” che porta al rifiuto, quasi una difesa dopo la lunga stagione di vaccini e richiami associata alle sofferenze e restrizioni del periodo pandemico. La “stanchezza vaccinale” preoccupa noi medici perché va ad aggiungersi al trend in discesa che dura ormai da alcuni anni ed ha portato ad essere sotto il 95%, che è la soglia della “protezione di gregge”, le coperture vaccinali nell’infanzia».
I dati parlano, per il Padovano, di 93 minori vaccinati su 100. È un fenomeno così grave?
«Per alcuni anni la nostra Regione, forte di una adesione alle vaccinazioni dell’infanzia molto alta, ha applicato il superamento dell’obbligo sostituito da comunicazione, counselling alle famiglie e coinvolgimento di pediatri, medici di famiglia ed igienisti. Negli anni successivi, dopo un primo momento di tenuta del sistema, si è avuto un calo legato soprattutto al diffondersi di notizie, poi dimostratesi false, di un rapporto causale tra alcune vaccinazioni e l’autismo. Dalla reintroduzione dell’obbligo vaccinale nel 2017 il dato di copertura nei minori è molto migliorato mostrando tuttavia qualche esitazione da parte dei genitori dei bambini nati nel 2021-2022 (periodo della prima campagna vaccinale anti-Covid-19). Ora questo circa 7% di bambini più piccoli che da alcuni anni non si vaccina o di ragazzi che non completa il ciclo per le vaccinazioni obbligatorie non può che preoccuparci. Nella provincia di Padova sono 12 mila questi ragazzi, potenzialmente infettabili che, in caso di circolazione virale, possono dar luogo a focolai epidemici».
L’ULSS 6 Euganea si basa su quali dati?
«L’Unita Operativa di Epidemiologia del Dipartimento di Prevenzione valuta sistematicamente i tassi di copertura della popolazione residente partendo dall’anagrafe vaccinale. I soggetti di età 0-16 anni residenti in ULSS 6 Euganea al 15 maggio 2024 (coorti 2007-2024) sono 129.502, 51,4% maschi e 48,6% femmine. Di questi i soggetti non in regola con i requisiti della Legge 119/2017 sono 12.012, corrispondenti al 9,3%, (si precisa che il dato del 2024 è parziale)».
Quali sono dunque le cause del calo della copertura vaccinale?
«Il calo ha molteplici cause e tutte meriterebbero un’attenzione particolare. Un genitore decide di non vaccinare il figlio per assenza di informazioni, per cattiva informazione o per non avere gli strumenti per poter capire le informazioni fornite. A questo si lega il tema dell’ “infodemia”, l’avere, cioè, troppe informazioni da varie fonti (internet, social, ecc.) a volte discordanti, tra le quali si fa fatica ad orientarsi. Altre motivazioni trovano radice nella paura che il vaccino possa provocare più danni della malattia; poi c’è una scarsa conoscenza delle malattie che quei vaccini vanno a prevenire, una volta molto più presente (si pensi agli esiti paralitici della poliomielite oggi scomparsi grazie alla vaccinazione); lo scetticismo ed il complottismo; l’ansia che si ha quando si prendono decisioni per i figli; a volte anche una non sufficiente comunicazione col medico vaccinatore. Queste ragioni non vanno giudicate ma comprese con la consapevolezza che i genitori possano anche avere paura e vanno aiutati nel percorso decisionale. Da medico ritengo che su ognuna di queste ragioni dovremmo agire in maniera personalizzata, recuperando un rapporto di fiducia con le famiglie. Certo che i tempi di convincimento possono essere lunghi, mentre è molto veloce la diffusione di fake news che annullano in poco tempo il grande lavoro che stiamo facendo».
I genitori hanno spesso più paura degli effetti del vaccino che della malattia che quel vaccino previene. Come si spiega questo?
«A volte i genitori temono effetti indesiderati o complicanza nel vaccinare contro più malattie contemporaneamente (vaccino “esavalente” o il “quadrivalente”). In realtà i bambini in età di nido e scolare vengono a contatto ogni giorno con centinaia di antigeni e il sistema immunitario viene così stimolato per costruire le difese necessarie. Ecco, i vaccini sono un modo “controllato” di esporre l’organismo a specifici antigeni, in modo da rendere pronte le difese in caso di successiva infezione di un virus o batterio».
L’obbligatorietà del vaccino, reintrodotta dal 2017, ha cambiato lo scenario?
«Sicuramente c’è stato un certo recupero dei tassi di copertura, soprattutto perché se non vaccinato non si può iscrivere il figlio al nido o alla scuola dell’infanzia. In un mondo ideale, dove l’adesione consapevole sia ben sopra il 95%, l’obbligo non sarebbe necessario ed il personale sanitario potrebbe recuperare tempo per dedicarsi anche a molti altri aspetti della prevenzione e della promozione della salute (per esempio promuovendo l’attività motoria, la sana alimentazione, gli screening, il contrasto al fumo di tabacco, ecc.). Ma il nostro ruolo professionale ci inchioda alla responsabilità: conoscendo gli effetti di alcune malattie – dal tetano alla pertosse, dalla polio al morbillo – siamo obbligati a tenere alta la causa delle vaccinazioni».
Entrando nel vivo del nostro territorio, nella provincia di Padova ci si vaccina tutti allo stesso modo in tutti i comuni?
«In realtà non c’è la stessa propensione a vaccinare i bambini: si vaccinano meno nel cittadellese e nella zona dei Colli Euganei, specie nella cintura dei comuni a nord dei Colli. I più attenti a vaccinare i piccoli abitano nell’area di Montagnana, nel sud della provincia, nel Comune di Padova e cintura urbana».
Quali sono i fronti della prevenzione sui quali agite, oltre ai vaccini come Dipartimento di Prevenzione?
«Oltre alle vaccinazioni, siamo sempre impegnati con gli screening oncologici, mammella, colon- retto, collo dell’utero, totalmente coperte dal Servizio Sanitario Nazionale in un percorso di alta qualità tecnico-scientifica; poi quello delle Malattie Infettive e quello della Promozione della Salute, dagli stili di vita, al movimento, all’alimentazione. Oggi forse l’ambito che ci preoccupa di più è quello delle ragazze o giovani donne, in cui la diffusione di alcol e fumo, registra dati crescenti e non rassicuranti».
Dr. Luca Sbrogio
Direttore Dipartimento Prevenzione ULSS 6 Euganea