Un dolore che di silenzioso non ha proprio nulla. Al contrario urla forte, per anni, nel corpo di una donna, travolgendo tantissimi aspetti della sua vita. Eppure, poche problematiche come la vulvodinia sono avvolte dal silenzio. Quello degli specialisti, che spesso faticano a fare una diagnosi, quello a cui sono portate le pazienti, dopo infiniti tentativi di spiegare i propri sintomi, senza sentirsi capite.
Che cos’è la vulvodinia?
La vulvodinia è una sindrome neuropatica non rara: coinvolge circa il 16% della popolazione femminile con disturbi vari, riferiti tendenzialmente al ginecologo o al dermatologo. Il termine esatto per definirla è quello di sindrome, intesa come insieme di situazioni patologiche con aspetti muscolari, nervosi o tendinei.
«Il termine “vulvodinia” indica un dolore cronico localizzato nell’area vulvare e persistente da 3 a 6 mesi. Si tratta in realtà di un vocabolo che include un’ampia varietà di condizioni cliniche che hanno un sintomo comune: un dolore cronico, continuo o intermittente, spontaneo o provocato, e invalidante che interessa i genitali esterni femminili» come spiega il sito dell’Associazione Italiana Vulvodinia Onlus (www.vulvodinia.org), nata nel 2006 con lo scopo di aiutare tutte le donne che soffrono a causa di questa patologia, ad ottenere una diagnosi corretta e delle cure adeguate.
Trovare le parole per raccontare la vulvodinia
A far diventare la parola più vicina al “grande pubblico” è bastato qualcuno che ci mettesse la faccia per aiutare le persone a trovare una soluzione. Di recente Giorgia Soleri, modella e influencer, fidanzata di Damiano, frontman dei Måneskin, ha raccontato la sua esperienza, parlando di endometriosi e vulvodinia, disturbi spesso incompresi e addirittura travisati.
A questo proposito si sta studiando una proposta di legge per il riconoscimento della vulvodinia come malattia invalidante e per la diagnosi e la cura di essa e delle patologie del pavimento pelvico. Lo scopo principale è riconoscere i gravi problemi spesso invalidanti che questa malattia comporta e migliorare la qualità delle cure e della vita delle donne affette.
Buona parte dei traguardi raggiunti in questi anni sono invece merito di Elena Tione, che dal dolore provato letteralmente sulla sua pelle per anni, ha tratto l’energia per guarire e aiutare le persone che soffrono di questa patologia e altre con caratteristiche simili, attraverso il suo metodo di coaching, il Metodo Mind-Body. Dal 2012, dopo un calvario iniziato nel 2001, senza nessun effetto ottenuto dalle cure tradizionalmente proposte per la vulvodinia, Elena è guarita grazie a questo approccio. A lei si devono il sito, il forum, la bibliografia e tanto altro, ma soprattutto il supporto alle pazienti, in collaborazione con i massimi esperti del settore (VulvodiniaPuntoInfo.org).
Dal 2014 è fondatrice e presidente di Associazione VulvodiniaPuntoInfo ONLUS e ha istituito la Giornata Internazionale della Vulvodinia (11 novembre), allo scopo di sensibilizzare opinione pubblica e medici.
Quale sono i sintomi più frequenti della vulvodinia?
- Bruciori
- Sensazione di taglietti
- Microabrasioni
- Possibile fastidio durante il rapporto sessuale
- Punture di spillo
- Sensazione di scosse elettriche o peggio dolore forte simile a coltellate
- Gonfiore
- A volte una sensazione di livido
- Presenza di rossore, spesso scambiato per candidosi
Diagnosi: come riconoscere la vulvodinia?
Il test che si effettua per la diagnosi è lo swab test ideato da Edward Friedrich, ma l’esame clinico nella maggior parte dei casi non evidenzia alcuna lesione. Il medico, che non conosce la vulvodinia o la vestibulodinia vulvare, riconduce spesso i sintomi a una non ben specificata “turba psicosomatica”, da trattare con psicoterapia e/o con psicofarmaci a dosaggio psicoterapico.
La medicina oggi sta affrontando il problema ancora in modo molto meccanicistico, senza guardare alla persona nel suo insieme. È bravissima a distinguere i sintomi, prova strategie varie – dai farmaci, agli interventi chirurgici – ma, senza andare alla radice del dolore, non trova una soluzione duratura al problema.
Come curare la vulvodinia in modo duraturo?
«Buona parte del mio Metodo Mind-Body si basa sul cosiddetto Modello Biopsicosociale – spiega Elena Tione – in cui il dolore è inteso come una interazione dinamica tra i fattori biologici, psicologici e sociali unici per ciascun individuo: ogni donna con dolore pelvico è unica e speciale». Il dolore non è un fenomeno puramente percettivo: l’eventuale lesione e/o infezione iniziale che ha causato il dolore interrompe anche i sistemi omeostatici del corpo che, a loro volta, producono stress e portano all’avvio di programmi complessi per ripristinare l’omeostasi, l’equilibrio biologico del corpo.
«Gli stati mentali negativi e la mancata processazione emozionale bloccano il sistema in una situazione detta “Risposta Combatti-Fuggi-Congelati”, che tende ad amplificare l’intensità degli input sensoriali – continua Elena Tione – creando una serie di modificazioni fisiologiche in risposta a una percepita minaccia (in questo caso il dolore stesso, mentre le strategie che aiutano il corpo a ripristinate l’equilibrio tra i due rami del SNA (Sistema Nervoso Autonomo) permettono il dissolvimento del dolore».
Il Metodo Mind-Body convalida l’evidenza scientifica secondo la quale, una volta che i tessuti sono guariti dall’eventuale danno tissutale (infezione o altro), il dolore che perdura non è più dovuto al danno stesso. I pazienti devono essere rassicurati e informati sul funzionamento del loro dolore tramite uno specifico percorso, chiamato “Istruzione Neuroscientifica Terapeutica”: il dolore non è una minaccia, e grazie al principio di neuroplasticità, il sistema mente-corpo rimodula gli impulsi afferenti in modo nuovo.
Quando il paziente comprende che il dolore non è più una minaccia in sé per sé, i sintomi hanno letteralmente i giorni contati: in presenza di lesioni o meno, la guarigione può essere completata e, soprattutto mantenuta, senza ricadute.
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