Fino a qualche giorno fa per la maggior parte di noi erano quattro, individuati da lettere diverse e connotati da Rh positivo o negativo. Oggi si parla di un quinto, che ha caratteristiche particolari, ma in generale il sistema di classificazione dei gruppi sanguigni è una questione più complessa di quel che sembra e soprattutto in costante evoluzione.
Lo studio, a cura di un gruppo di scienziati appartenenti all’NHS Blood and Transplant in collaborazione con l’Università di Bristol, ha rivelato l’esistenza di un nuovo gruppo sanguigno al di fuori della canonica classificazione A, B, AB e 0 e alla presenza dell’antigene Rh (che troviamo solitamente come + o -).
I presupposti della ricerca sono da individuare nell’esistenza di un sottogruppo chiamato Er, e in particolare in tre antigeni individuati già negli anni 80’ del secolo scorso, ma mai geneticamente caratterizzati. Oggi, con una tecnologia all’avanguardia, il mistero è stato svelato: scopriamo insieme di cosa si tratta.
Il Gruppo “Er”: verso un nuovo sistema di classificazione dei gruppi sanguigni
Da sempre siamo abituati a individuare i gruppi sanguigni secondo il sistema AB0. Questo perché è il sistema più semplice da utilizzare, spesso in combinato con il sistema Rhesus (il famoso Rh negativo o positivo).
Esistono però sistemi di classificazione che tengono conto delle differenze molecolari relative alla superficie dei globuli rossi, come la composizione di proteine e zuccheri. Di questi sistemi, fino ad oggi, ne esistevano 43.
La ricerca compiuta da NHS Blood and Transplant e dall’Università di Bristol, eseguita su 13 pazienti con caratteristiche del sangue ultra rare ha portato infatti alla luce l’esistenza di due ulteriori antigeni del sottogruppo Er e di un particolare legame con una proteina: Piezo1.
Agli antigeni Er a, Er b e Er 3 si sono aggiunti Er 4 e Er 5, i quali sembrano avere una correlazione piuttosto stretta con i casi di malattia emolitica del feto e del neonato.
Quali sono i risvolti medici di questa scoperta?
Dalle parole di Nicole Thornton, a capo del laboratorio dell’NHS Blood and Transplant, si può comprendere la portata futura della ricerca: «Scoprire le basi genetiche dei gruppi sanguigni ci consente di sviluppare nuovi test per identificare quelli con gruppi sanguigni non comuni, con l’obiettivo di fornire la migliore assistenza possibile anche ai pazienti più
rari. Questa scoperta risolve il mistero di oltre 30 anni sul background genetico di questo sistema di gruppi sanguigni, ma la considerazione più importante per noi, nell’indagare su questi casi, è stata quella di poter fornire risposte a due madri che hanno tragicamente perso i loro bambini. Più sappiamo di tali rare variazioni del gruppo sanguigno, insieme alla capacità di essere in grado di testarle e identificarle, migliore sarà la cura che saremo in grado di offrire a tali pazienti in futuro».
Tra gli obiettivi più immediati dunque, trovare una risposta rapida ai problemi di incompatibilità sanguigna tra madre e neonato, alla malattia emolitica che ha conseguenze tragiche per il piccolo, così come dare una spinta evolutiva alla medicina trasfusionale.
Senza dubbio il percorso è ancora lungo e molto di ciò che riguarda il sangue e i nostri globuli rossi deve essere scoperto, ma l’intercettazione di un nuovo gruppo sanguigno permette di gettare le basi per la creazione di test più specifici, precisi, in grado di tutelare e consentire forme di prevenzione anche ai pazienti più “rari”.