Nella popolazione maschile, il tumore alla prostata è tra le neoplasie più diffuse: secondo i dati dell’AIRC, riguarda 1 uomo su 8. E, sebbene la sua mortalità sia contenuta (il 91% dei pazienti è ancora in vita dopo cinque anni dalla diagnosi), diagnosticarlo per tempo è fondamentale.
Dal 2003, per la diagnosi precoce del tumore alla proposta si usa il test PSA (prostate specific antigene, antigene prostatico specifico). C’è però un ospedale che, in Lombardia, utilizza una tecnica innovativa: la fusion biopsy della prostata.
Che cos’è la fusion biopsy
Centro d’eccellenza della sanità lombarda, l’Ospedale di Vimercate è l’unica struttura della provincia di Monza e Brianza ad utilizzare la tecnica della fusion biopsy.
Combinando due metodologie diagnostiche, la risonanza magnetica e l’ecografia prostatica transrettale, la fusion biopsy impiega un ecografo di ultima generazione per acquisire e per fondere insieme le immagini da esse prodotte (da qui il termine “fusion”). Il dottor Gianfranco Deiana, direttore dell’unità di Urologia dell’ospedale lombardo, spiega: “Un sistema di navigazione durante la biopsia permette di guidare l’ago fino all’area bersaglio, evidenziata precedentemente da una risonanza magnetica pluriparametrica”. In questo modo, è possibile diagnosticare con precocità l’adenocarcinoma prostatico.
Nelle prime fasi della malattia, il tumore alla prostata è infatti asintomatico. Solo quando inizia a progredire il paziente avverte sintomi quali difficoltà ad urinare, dolore, sensazione d’urgenza, sangue nelle urine o nello sperma. La fusion biopsy permette di diagnosticare la neoplasia con tempestività e con accuratezza, così da mettere a punto il programma di cure migliore.
La metodica migliore per una diagnosi precoce
In passato, i pazienti con un elevato dosaggio di PSA (antigene prostatico specifico) venivano sottoposti a biopsie prostatiche multiple, spesso negative, prima che si arrivasse ad una diagnosi. E, durante un singolo esame, si potevano eseguire anche 40 prelievi. Nonostante questo, il tumore alla prostata veniva diagnosticato attraverso la tradizionale biopsia solamente nel 35% dei casi.
Nella fusion biopsy, sul monitor si vanno ad individuare e marcare le aree bersaglio, quindi si fondono in tempo reale le immagini della risonanza con quelle dell’ecografia transrettale. In questo modo, l’immagine risultata sospetta alla risonanza viene sovrapposta a quella ecografica, consentendo all’operatore di eseguire prelievi ecoguidati mirati sulla zona bersaglio.
“Con questa tecnica possiamo eseguire biopsie mirate di aree altamente sospette per carcinoma, evidenziate dalla risonanza multiparametrica ma non visibili con l’ecografia tradizionale. Riusciamo dunque ad aumentare il tasso di rilevamento di un tumore della prostata fino al 60% circa, raddoppiando praticamente la performance della tecnica precedente, e consentendo una diagnosi più precoce del tumore che si traduce per il paziente in una maggiore efficacia dei protocolli terapeutici”: questo il commento del dottor Deiana.
La fusion biopsy viene eseguita in anestesia locale, e ha la durata di una tradizionale biopsia prostatica.