La perdita di trasparenza corneale e i difetti refrattivi sono tra le principali cause di cecità a livello globale. Sebbene la cecità corneale possa essere curata mediante trapianto, si stima che nel mondo siano quasi 13 milioni le persone in attesa di una cornea di donatore, con un tessuto disponibile ogni 70 necessari.
È da questo scenario che ha preso le mosse una ricerca condotta dai ricercatori dell’università di Linköping (Svezia) e recentemente pubblicata sulle pagine di Nature Biotechnology. Gli scienziati, con il supporto dell’azienda LinkoCare Life Sciences AB, hanno utilizzato la proteina collagene, di origine suina, resa compatibile con l’organismo umano, per costituire un materiale trasparente e stabile, da utilizzare come impianto per sostituire o rinforzare la cornea ammalata. Si tratta dunque di una sorta di strato corneale artificiale, che consente di stabilizzare la struttura della cornea patologica.
La sperimentazione è stata effettuata su 20 pazienti indiani e israeliani affetti da cheratocono (una malattia progressiva non infiammatoria della cornea che causa una ridotta resistenza della cornea) in stadio avanzato. Di questi 16 erano legalmente ciechi, e 4 con la vista gravemente compromessa. A due anni dall’operazione le cornee dei pazienti hanno riacquisito spessore e curvatura normali e oggi tutti i partecipanti hanno riacquistato una buona acuità visiva, in tre casi fino a raggiungere i 10/10.

Abbiamo chiesto al dottor Diego Ponzin, oculista e Direttore sanitario di Fondazione Banca degli Occhi del Veneto Onlus, un parere sulla bontà di questo studio sulla “cornea artificiale“, sulla sua utilità e replicabilità.
«Si tratta di un paper (articolo scientifico, n.d.r.) eccellente, dal risultato encomiabile. Questo tipo di intervento – spiega il dott. Ponzin – è stato calibrato per essere minimamente invasivo e, di conseguenza, eseguibile con una tecnica chirurgica relativamente semplice e dai costi contenuti.
La tecnica sviluppata prevede di rinforzare la cornea malata di pazienti affetti da cheratocono. Trattandosi di una tecnica non sostitutiva ma rafforzativa, risulta chiaro come, lasciando la cornea malata nell’occhio, quest’ultima possa essere soggetta a una progressione della patologia, che tuttavia si può verificare anche dopo molti anni. L’intervento potrebbe quindi non essere definitivo».
Il cheratocono – illustra il paper – è progressivo, ma con un’eziologia complessa, non completamente compresa. Con uno screening adeguato e l’accesso a cure specialistiche, la progressione del cheratocono può essere rilevata e arrestata nelle sue fasi iniziali mentre la vista è ancora buona; tuttavia, se non affrontato precocemente e nei paesi a basso/medio reddito, in cui il cheratocono è diffuso e l’accesso all’assistenza sanitaria è limitato, la malattia spesso progredisce.
Che cosa rende questa sperimentazione di “cornea artificiale” così rivoluzionaria?
«Il punto di forza della sperimentazione effettuata è quello di aver utilizzato una proteina ampiamente disponibile, in quanto derivante da collagene prelevato dal derma di maiale, che è stato opportunamente modificato per renderlo più stabile e meno degradabile una volta impiantato. I risultati, a oggi supportati da follow-up abbastanza lunghi da parte dei pazienti, sembrano deporre per una stabilità dell’impianto sicuramente nel medio periodo».
Dott. Ponzin, in quali casi è indicato questo tipo di intervento di “cornea artificiale” ?
«È una tecnica applicabile non a tutti i pazienti ma in alcuni casi particolari. Nel dettaglio: per soggetti in cui la degenerazione corneale è molto avanzata è più probabile che si debba ricorrere a una terapia sostitutiva in toto o quasi della membrana. Un intervento rafforzativo della cornea non sarebbe, infatti, sufficiente.
In Italia e in Europa vengono già fatti trapianti della cornea con ottimi esiti di successo e durabilità, è difficile quindi pensare che interventi di questo tipo, con tessuto sintetico, abbiamo riscontro su larga scala. Scopo della ricerca, chiarisce perfettamente il paper, è quello di avere a disposizione delle terapie soprattutto per quei paesi a medio o basso reddito in cui non è pensabile che nel breve o medio periodo si possano sviluppare una rete di donazioni e di “Banche degli occhi” capace di colmare il divario enorme che esiste ancora tra disponibilità di tessuti umani e necessità di trapianto.
L’obiettivo, dunque, è di poter supportare questi paesi attraverso l’invio tessuti sintetici come quello oggetto della sperimentazione o addirittura cellule che possano ricostruire strati della cornea malati, attualmente in fase di studio. Entrambi facili da trasportare e meno dipendenti dalla disponibilità di donazioni».