Oltre mille individui di undici popolazioni diverse, la sconfinata complessità del genoma e i frattali. Con questi elementi ha preso forma lo studio multicentrico realizzato dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irib, Cnr-Istc, Cnr-Iasi) e dall’Università di Padova, pubblicato sulla rivista “International Journal of Neural Systems”.
I frattali: un aiuto per comprendere la complessità del genoma
Per aiutare i biologi a comprendere e ridurre la complessità del DNA umano – oltre 20.000 geni e 3 miliardi di coppie di basi nucleotidiche – sono stati proposti nel tempo numerosi modelli matematici. Ben si sa, però, che questi numeri rappresentano solo in parte l’eterogeneità presente nei nostri geni: gran parte delle sequenze del nostro DNA non codificano e sembrano ripetersi in maniera casuale all’interno del genoma. Inoltre, ad aumentare la complessità ci sono anche i single nucleotide polymorphisms, piccole variazioni genetiche che rappresentano la storia della nostra evoluzione, la base per lo sviluppo di patologie e anche la differenziazione tra popolazioni diverse.
Tra i modelli matematici proposti, risulta particolarmente promettente quello che impiega la geometria frattale, ideata da Benoît Mandelbrot, che ha permesso di studiare tutte quelle strutture ricorrenti alle quali la geometria euclidea non era in grado di rispondere. Un frattale è un oggetto geometrico che ripete infinite volte la sua forma su scale diverse: ingrandendo una sua parte qualunque, si ottiene dunque un oggetto simile all’originale.
Lo studio internazionale
Un team del Consiglio nazionale delle ricerche – Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica (Cnr-Irib) di Messina e Cosenza, Istituto di analisi dei sistemi ed informatica “Antonio Ruberti” (Cnr-Iasi) di Roma, Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Cnr-Istc) di Roma – e dell’Università di Padova ha applicato i concetti di dimensione frattale su 1.184 individui di 11 diverse popolazioni geograficamente diverse (es. Maasai a Kinyawa, Kenya, Giapponese, Cinese di Pechino, Toscani in Italia, persone con origini africane negli Stati Uniti sudoccidentali) e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista International Journal of Neural Systems.

«La ricorsività di uno stesso pattern o oggetto viene chiamata auto-similarità ed è un fenomeno estremamente ricorrente in natura basti pensare ai cristalli di ghiaccio, alla felce, al cavolo romano ma anche la struttura ramificata dei nostri bronchi e dei nostri vasi sanguigni per citarne alcuni», spiega Camillo Porcaro, dell’Università degli Studi di Padova e Cnr-Istc. «L’idea di applicare i frattali allo studio del DNA nasce proprio dall’ipotesi che numerose sequenze sembrerebbero ripetersi casualmente ma con una modalità di auto-similarità, dall’intero cromosoma fino al singolo gene».
Gli algoritmi usati nella ricerca
I dati usati in questo studio fanno parte dello Human Genome Project (HapMap, fase 3), che rappresenta il più importante database pubblico dove è conservato il sequenziamento dell’intero DNA umano di migliaia di persone nel mondo. «Per dimostrare l’efficacia della dimensione frattale nel caratterizzare il genoma umano sono stati utilizzati due diversi algoritmi: la box-counting dimension e la Higuchi’s fractal dimension».
«Una volta stimato e ricostruito l’intero genoma dei 1.184 soggetti abbiamo anche usato metodi di intelligenza artificiale, confermando che la dimensione frattale è una misura capace di rappresentare le variazioni genetiche di ogni singolo individuo e sufficientemente sensibile per discriminare automaticamente il DNA di popolazioni africane dalle popolazioni europee/native americane e dell’Asia orientale per quasi tutti i cromosomi, con un’accuratezza dell’80%» conclude Antonio Cerasa del Cnr-Irib. I risultati ottenuti dal team di matematici, ingegneri, biologi e neuroscienziati aprono nuove vie nella caratterizzazione frattale delle malattie genetiche, per capire meglio come queste possono essere collegate alla degenerazione della geometria nella struttura del DNA umano.