Ogni anno in Italia 30mila bambini, quasi il 7 per cento dei nati, sono prematuri. Uniti agli altri prematuri del mondo raggiungono la considerevole quota di 15 milioni di nati. I dati del Registro Covid-19 della Società italiana di neonatologia (Sin), come già rilevato nel 2020, confermano inoltre un aumento delle nascite premature da donne infette pari all’11,2%, rispetto al tasso di prematurità delle donne non infette pari al 6,9%. Dietro i numeri, per altro aggravati dalla recente pandemia, si celano infinite storie e altrettanto infiniti modi di essere “prematuri”. Se i dati ci confortano enormemente in termini di tasso di sopravvivenza, la sfida per il piccolo prematuro, per le famiglie e per il personale sanitario è ancora piuttosto impegnativa e soprattutto, come emerge, presenta grandi differenze di opportunità in termini di accesso alle migliori cure.
Prematuri non una ma tante immaturità diverse
Il termine prematuri si riferisce ai neonati che vengono al mondo prima della 37esima settimana di età gestazionale. Questi bambini non avendo ancora maturato del tutto organi e apparati, non sono ancora pronti ad adattarsi alla vita fuori dal grembo materno e per questo hanno bisogno di maggiori attenzioni e cure. I problemi possono variare molto in base al grado di prematurità, vale a dire in base all’anticipo della nascita rispetto ai termini: maggiore è l’anticipo della nascita, più alto è il grado di immaturità funzionale e quindi il rischio di avere delle disfunzioni o di essere affetti da patologie.
Un cammino impegnativo
La nascita di un neonato prematuro sarà probabilmente molto diversa se il bimbo è nato alla 35esima settimana piuttosto che prima della 32esima. E ancora molto differente per nascite pretermine cosiddette estreme, vale a dire prima della 28esima settimana. Con impegni differenti, però, tutte le famiglie in cui arriva un piccolo o piccola prematura, avranno di fronte una serie di difficoltà da affrontare e avranno bisogno di sostegno e accompagnamento nel proprio percorso dopo la dimissione ospedaliera, durante eventuali ricoveri, nelle attività di riabilitazione qualora ce ne fosse la necessità.
Ne parliamo con Francesca Babetto, psicologa di Padova, esperta di prematurità, che da anni accompagna professionalmente, letteralmente dalla culla ai banchi di scuola, molti piccoli nati prematuri e le loro famiglie attraverso la collaborazione con diverse associazioni di volontariato del territorio regionale, prima fra tutti l’associazione Pulcino di Padova, con sede operativa a Albignasego (Padova).
Partiamo dall’inizio, nel momento in cui la mamma e il piccolo si trovano in ospedale: perché è così importante che l’ospedale aderisca al progetto dell’Efcni – European Foundation for the Care of Newborn Infants, relativo alle cure neonatali?
La vicinanza tra mamma, papà e bambino appena nato è tanto più importante, quanto più piccolo è il neonato. La nascita pretermine è nella maggior parte dei casi un evento improvviso, che avviene, cioè, senza che la famiglia sia minimante preparata a quello che sta accadendo. Da anni, a maggior ragione da quando è scoppiata la pandemia da COVID19, EFCNI si impegna a portare l’attenzione sulla necessità di lasciare la libertà ai genitori di stare con i loro bambini per tutte le 24 ore. Purtroppo in Italia la realtà è estremamente varia e – sebbene dal punto di vista clinico ormai sempre più reparti siano in grado salvare la vita di bambini anche piccolissimi – diversa è l’attenzione riservata alla “care” dell’intera famiglia, secondo un approccio che dovrebbe sempre più muovere verso un’ottica di Family Integrated Care.
Che cosa si intende con “Zero separation”?
La campagna Zero Separation, promossa da EFCNI e GLANCE, pone l’attenzione proprio sul tema fondamentale della partecipazione della famiglia alla cura del proprio bambino. Sono ancora molti i reparti che impediscono ai genitori di stare con i loro bambini per tutte le 24 ore: in Italia purtroppo la situazione è molto varia e a seconda dell’ospedale le regole cambiano molto. Zero Separation è nata infatto l’anno scorso quando, durante la pandemia, i genitori sono stati lasciati fuori dai reparti. EFCNI ha raccolto il grido di tutte le realtà mondiali che si occupano di garantire il benessere dei bambini nati prematuri e delle loro famiglie, coordinando un’azione che andasse a smuovere le coscienze di chi ancora non considera i genitori attori fondamentali, al pari di medici ed infermieri, nella cura del proprio bambino pretermine.
Nella sua esperienza una volta tornati a casa di cosa hanno assolutamente bisogno genitori e bambini?
La dimissione e il rientro a casa sono un momento estremamente delicato per le famiglie. I genitori riescono finalmente a riappropriarsi di quella genitorialità che hanno fino a quel momento delegato al personale ospedaliero, ma non è un processo semplice. I bambini prematuri sono spesso ancora molto piccoli e fragili, non è raro che tornino a casa prima della data in cui sarebbero dovuti nascere. I controlli post dimissione sono serrati, i genitori devono a volte fare i conti con un congedo di maternità che sta per finire, nonostante non abbiano quasi potuto godere del proprio bambino.
Quindi una volta a casa?
A casa è necessario ricreare quel contatto che inevitabilmente si è perso. Quando parlo con le mamme da poco dimesse spesso capita di realizzare per quanto tempo questi bambini sono stati da soli, quante procedure dolorose hanno subito, quanto hanno dovuto faticare per imparare a mangiare, a respirare e a termoregolarsi. Accettare che il proprio bambino abbia vissuto già così tante esperienze dolorose non è facile, ma come restano nella memoria implicita le esperienze di dolore allo stesso modo restano quelle positive, il contatto pelle a pelle, la voce della mamma che racconta una storia, le carezze del papà. È necessario rallentare, fare il pieno di esperienze positive ed elaborare quello che è accaduto.
Se vogliamo andare invece più sul pratico, servirebbe sicuramente un congedo genitoriale che tutelasse maggiormente questa delicatissima fase di rientro a casa, un programma di follow-up completo e uniforme su tutto il territorio nazionale e la possibilità di chiedere aiuto e confrontarsi, sia con professionisti, che con genitori che abbiano vissuto la stessa esperienza. Già in ospedale e nelle equipe di follow-up sarebbe davvero utile che si comprendesse la necessità della presenza anche degli psicologi, figure professionali esperte nella promozione del benessere e della salute mentale, fondamentali per aiutare le famiglie – fratellini e nonni compresi – nell’elaborazione di quanto vissuto e nel monitoraggio di alcuni aspetti dello sviluppo emotivo e relazionale. Professionisti, inoltre, di grande aiuto per superare i momenti maggiormente critici.
Immagino sia difficile raggruppare le differenti problematiche che le è capitato di incontrare in questi anni, ma le chiedo se esistono delle problematiche più frequenti?
La prematurità non è una malattia, il mio lavoro quotidiano è da sempre volto a far conoscere le caratteristiche, le tipicità che questi bambini possono avere, da dove possono derivare e quali strategie si possono adottare per aiutarli.
Dalla mia esperienza, supportata anche da dati scientifici, ho notato che ci sono delle caratteristiche ricorrenti – ma non per forza sempre presenti in tutti i bambini -che accomunano i bambini nati prematuri.
Nella prima infanzia tra le caratteristiche più frequenti nei bambini nati pretermine si può notare una certa paura per i rumori forti e/o difficoltà a stare negli ambienti rumorosi, una certa difficoltà nello staccarsi dai genitori, difficoltà nell’alimentazione (selettività nei cibi, difficoltà nel passaggio al cibo solido, disinteresse per il cibo) e alterazioni dei ritmi biologici (fatica nell’addormentamento, risvegli frequenti…). Negli ultimi anni di scuola dell’infanzia prima e poi alla primaria, quando iniziano ad essere necessarie anche altre abilità finalizzate all’apprendimento, si possono riscontrare iperattività, difficoltà di attenzione e concentrazione e, soprattutto nell’età preadolescenziale, una maggior tendenza all’isolamento sociale.
Cosa manca in Italia e nelle nostre scuole?
Purtroppo la cosa che manca di più è la conoscenza: una cultura della prematurità che possa far sentire le famiglie accolte anche nel percorso scolastico nonostante le difficoltà che i loro bambini possono avere.
Un esempio su tutti? L’età di ingresso a scuola. Spesso ricevo telefonate di mamme in lacrime che non riescono a far capire al dirigente scolastico come il loro bambino sulla carta abbia effettivamente 6 anni, ma in realtà la sua nascita sarebbe dovuta avvenire diversi mesi dopo. Questo bimbo, nato prematuro, non è ancora pronto ad affrontare l’esperienza della scuola primaria. Parliamo di bambini che nascono dopo sole 24 settimane di gestazione, che nascono nell’anno solare precedente ma che non hanno raggiunto ancora la maturità evolutiva che consente loro di essere al pari degli altri, che ancora nonostante non vi siano difficoltà diagnosticate, non sono riusciti a colmare quel divario che c’è con i loro coetanei.
Tanto più i bambini sono piccoli, tanto più questo divario è visibile e ricorda quotidianamente a mamma e papà che il loro bambino deve correre, deve recuperare, deve fare in fretta per rimettersi al passo, quando invece sarebbe “solo” necessario lasciargli il tempo per recuperare tutta la fatica che ha fatto per essere dove è arrivato fino a quel punto.
Ecco, se la scuola fosse più consapevole di queste realtà sicuramente il percorso sarebbe meno faticoso e doloroso per i bambini e per le loro famiglie. Chiariamoci, anche in questo campo mi è capitato di trovare personale e dirigenti veramente attenti ed accoglienti, ma, ancora una volta, quello che manca, è uniformità su tutto il territorio nazionale.
Cosa si prova a vedere un bimbo nato di poche centinaia di grammi iniziare la scuola materna?
Ho la fortuna di occuparmi di questi bambini da ormai qualche anno, i primi che ho incontrato quando pesavano 500 grammi ora mi mandano le foto con la cartella sulle spalle o mentre vanno sugli sci. È un’emozione grande avere la possibilità di vederli crescere, di essere accanto ai genitori nelle fasi cruciali, e a volte incerte, dello sviluppo dei loro bambini, poter parlare con le maestre raccontando loro da dove sono partiti. Sento un grande senso di gratitudine e responsabilità in quello che faccio quotidianamente con loro e per loro.
Vuoi richiedere ulteriori informazioni o contattare direttamente l’esperto?
Compila il form qui sotto ed invia la tua domanda: sarà inoltrata all’esperto citato nell’articolo