Dopo anni di implementazione di vitamina D, suggerita a più livelli e in fasce di età molto differenti, l’AIFA ha di recente cambiato in maniera netta la prospettiva, facendo discutere, con i nuovi criteri, medici ed esperti. Dietro a questo cambiamento ci sono, secondo l’Agenzia Italiana del Farmaco, nuove evidenze scientifiche che hanno reso indispensabile intervenire sulle condizioni di prescrizione relative alla vitamina D. Il recente aggiornamento della nota 96 pubblicato in Gazzetta Ufficiale (https://www.aifa.gov.it/nota-96), modifica e limita notevolmente le condizioni di prescrizione della vitamina D e dei suoi analoghi (colecalciferolo, calcifediolo).
Quali studi sulla vitamina D sono stati considerati da Aifa
AIFA ha appoggiato la sua nota di revisione su alcuni recenti studi. In particolare si tratta due ampi studi clinici randomizzati: lo studio americano VITAL (LeBoff M et al, NEJM 2022) e lo studio europeo DO-HEALTH (Bischoff-Ferrari HA et al, JAMA 2020). Entrambi gli studi hanno concluso che la supplementazione con dosi di vitamina D più che adeguate (2000 UI die di colecalciferolo) e per diversi anni (oltre 5 anni nel primo studio e 3 anni nel secondo) non è in grado di modificare il rischio di frattura nella popolazione sana, senza fattori di rischio per osteoporosi. Questi risultati si sono confermati anche tra i soggetti con livelli più bassi di vitamina 25(OH)D. A questi studi principali si aggiunge la ricca letteratura riguardante l’utilizzo nel COVID-19 che non ha dimostrato alcun beneficio della vitamina D, anche in questa condizione.
A cosa serve e come si misura la vitamina D
La vitamina D è un ormone prodotto a livello di cute a seguito dell’esposizione solare. Ha funzioni molto importanti: la vitamina D agisce sul sistema immunitario, regola l’assorbimento intestinale di calcio e fosforo, favorendo la normale formazione e mineralizzazione dell’osso, contribuisce alla normale contrattilità muscolare. Con l’alimentazione è possibile intervenire solo limitatamente nell’aumentarne la quantità, incrementando il consumo di olio di fegato di merluzzo, salmone, pesce azzurro, tuorlo d’uovo, latte, latticini, maiale, fegato di manzo. Il livello di vitamina D si misura attraverso un esame del sangue (dosaggio nella forma 25(OH)D). L’eventuale implementazione di vitamina D viene stabilita e prescritta sotto stretto controllo medico.
La vitamina D: quando la prescrizione è a carico del Sistema Sanitario Nazionale
Con la pubblicazione della nuova nota, la prescrizione a carico del SSN dei farmaci con indicazione per la prevenzione e trattamento della carenza di vitamina D nell’adulto, è limitata alla prevenzione e al trattamento della carenza di vitamina D di alcune specifiche situazioni cliniche, come quelli relative a persone con gravi deficit motori o allettate, persone in gravidanza o in allattamento, persone affette da osteoporosi, oppure con particolari livelli sierici, etc. La nota 96 fornisce tutti i dettagli.
Il disaccordo della Società Italiana di endocrinologia
«La nuova stretta sulla prescrizione di vitamina D è basata su una logica economica ma non clinicamente valida. Il risultato è che i cittadini ormai quasi sempre la pagano per conto loro». Annamaria Colao, presidente della Società italiana di endocrinologia (Sie) non ha nascosto il suo disaccordo in una dichiarazione rilasciata al Sole24ore (https://www.ilsole24ore.com/art/vitamina-d-perche-l-aifa-frena-prescrizioni-AE6faNsC). «Studi sperimentali mostrano quanto sia importante per tantissimi apparati, da quello immunitario a quello scheletrico. Varrebbe la pena studiare meglio questo ormone, con studi clinici ampi e complessi, che ne valutino l’impatto sullo stato di salute generale della persona».