Siamo più primitivi di quanto pensiamo (e lo dice la scienza!)

La paleogenomica vale a Svante Pääbo il Nobel per la medicina.

Il 3 ottobre 2022 è stato assegnato il premio Nobel per la medicina. L’uomo a cui è stato conferito l’ambito riconoscimento è Svante Pääbo, biologo e genetista svedese, considerato il creatore di una nuova branca della medicina denominata paleogenomica. La motivazione? “Per le sue scoperte sul genoma degli ominidi estinti e sull’evoluzione umana”.

Chi è Svante Pääbo? 

Nato a Stoccolma il 25 aprile 1955, figlio della chimica estone Karin Pääbo dalla quale ha preso il cognome. Curiosità: il padre, Sune Bergström, che con Karin ha intrattenuto una relazione extra-coniugale, è detentore di un Nobel per la medicina, vinto nel 1982.
Nel 1986 Svante Pääbo consegue il dottorato di ricerca in biologia, per poi iniziare a interessarsi alla medicina in senso ampio, e alla biologia molecolare. Dal 1997 dirige il dipartimento di genetica del Max Planck Institute, a Lipsia. La strada intrapresa e l’interesse personale portano lui e la sua equipe a una serie di pubblicazioni notevoli e scoperte importanti, tra cui l’esistenza di una specie di Homo ancora sconosciuta i cui resti sono stati rinvenuti in una grotta in Siberia: l’uomo di Denisova, coevo del Neanderthal.
Svante Pääbo ha dedicato buona parte della sua vita alla ricostruzione di una mappa del genoma umano originario e alla sua evoluzione attraverso i secoli.

Che cos’è la paleogenomica?

Nonostante l’esistenza dell’uomo di Neanderthal sia conclamata dal lontano 1856, il lavoro di Pääbo ha permesso di leggere i reperti in una chiave nuova e rivoluzionaria, permettendo, a partire dal DNA arcaico, di ricostruire le tracce della nostra evoluzione. Il lavoro è dunque stato svolto lungo due direttrici principali: da una parte lo sviluppo di tecniche e strumenti in grado di minimizzare la possibilità di errore nell’interpretazione del materiale biologico (attraverso una epurazione da materiali estranei); dall’altra, l’analisi approfondita del materiale genetico contenuto nei mitocondri e nel nucleo cellulare dei fossili e dei reperti intatti.
Un lavoro di questo tipo ha portato alla luce delle considerazioni sensazionali: circa l’1 o 2% del genoma moderno deriva da quello neanderthaliano, mentre pare che nelle popolazioni del sud-est asiatico un contributo genomico di circa il 6% derivi dall’uomo di Denisova. 

Che influenza avrà sulla medicina il lavoro di Pääbo?

Come detto, la ricerca compiuta da Svante Pääbo è molto utile alla comunità scientifica per comprendere evoluzione e processi migratori dell’essere umano nel corso dei millenni, ma la valenza in termini medici potrebbe essere senz’altro decisiva: l’eredità genetica permette di individuare le correlazioni tra la presenza di geni neanderthaliani e la risposta immunitaria a diversi tipi di infezione, o verificare che la presenza del gene di Denisova EPAS1 nelle popolazioni del Tibet consente loro di sopravvivere meglio a altitudini elevate.
La certezza è che con l’aggiungersi di tasselli al mosaico dell’essere umano, sarà sempre più facile comprendere la strada da percorrere.

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